Umanizzazione in medicina, criteri di valutazione e misurazione possibili di un requisito previsto per l’accreditamento delle strutture sanitarie. Un requisito fondamentale ancor di più in epoca di pandemia COVID -19.
Il tema è stato al centro della tavola rotonda organizzata dall’IRCCS San Raffaele Roma e dall’Università Telematica San Raffaele Roma, moderata dal prof. Enrico Garaci presidente del Comitato scientifico dell’Istituto di ricerca. In assenza di indici specifici, la possibilità di fare una valutazione non solo ex ante ma anche durante il percorso assistenziale del grado di umanizzazione è una questione molto importante, secondo il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. “Credo che questo si possa misurare e credo che i sistemi di accreditamento siano gli strumenti pubblici per valutare questo percorso”. Secondo Brusaferro, quando parliamo di umanizzazione va tenuto conto che chi si occupa di salute “ha al centro di tutto una relazione” con chi esprime un bisogno di assistenza. Bisogna guardare alle prospettive di lettura dei bisogni di salute, espressi e non espresso”. In questo contesto è importante anche l’alfabetizzazione sanitaria, “come la pandemia ci sta insegnando quotidianamente” e “poter sviluppare, investire in alfabetizzazione sanitaria è il presupposto per poter creare e valorizzare la relazione e il dialogo” tra cittadini e Sistema sanitario”. “Ripartire dalla fiducia, e' uno dei pilastri”.
“L’umanizzazione delle strutture sanitarie è un imperativo categorico, il covid ci ha dato una scossa – ha detto la dot.ssa Amalia Allocca, direttrice sanitaria dell’IRCCS San Raffaele Roma - ma siamo ancora molto lontani dall’obiettivo. Bisogna guardare all’assistenza domiciliare e ad altre misure. La nostra proposta è di suggerire una modalità per rendere misurabile tutte le azioni tese all’umanizzazione. Anche per questo lavoriamo a una ricerca su un modello di umanizzazione del percorso diagnostico terapeutico assistenziale”
Uno sguardo a una popolazione decisamente vasta e spesso “ignota”, quella degli anziani è una parte fondamentale del lavoro da fare per tornare a un sistema che troppo spesso è “bravo ad utilizzare le tecnologie ma non è umano” ha osservato monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia pontificia per la vita e presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana istituita dal Governo.
“Le Rsa, così come sono, sono sorpassate e vanno trasformate. Gli ultra 75enni sono 7 milioni. Per la prima volta nella storia esiste una vecchiaia di massa. Gli ultra ottantenni in Italia sono 4 milioni. Coloro che sono nelle rsa sono solo 280.000 persone, un decimo degli ultra 75enni disabili. E’ una popolazione ignota”. “Abbiamo l’urgenza di ripensare il sistema – afferma - il covid ci ha fatto dimenticare gli anziani, i disabili e i bambini”. “Occorre una nuova visione umanistica per affrontare questo tema enorme. La prima rivoluzione è culturale, dobbiamo prenderci cura dei milioni di anziani a partire dal loro ambiente dalla loro casa, creando una rete di relazioni. Non esistono solo infrastrutture logistiche – dice ancora mons. Paglia - ma anche quelle relazionali. Bisogna puntare sulla creazione di centri diurni dove possono essere custoditi, istruiti e anche curati– spiega – e questo richiede l’assunzione di almeno 100.000 Oss specializzati. E' indispensabile, anche perché non esistono piu' in Italia le famiglie numerose che possono tenere insieme gli anziani".
“C’è un peccato originale nel sistema, una divisione tra sanitario e sociale. Avere un’assistenza domiciliare adeguata è indispensabile.
David Lazzari, presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi ha sottolineato che anche "la salute e la dimensione psicologica sono state separate per troppo tempo”. “La salute è sempre stata tradizionalmente intesa come un problema del corpo, soltanto biologico, in cui la dimensione psicologica c'entra accidentalmente. In realtà tutto questo è stato smentito dalla scienza, a partire dal campo dell'epigenetica”. ”Umanizzazione della medicina – spiega Lazzari - significa che la persona deve essere al centro, che dobbiamo curare le persone e non solo i corpi. Per fare questo, è necessario un maggiore sostegno alla nostra rete psicologica pubblica, che oggi è quasi inesistente con soli 5000 professionisti in tutta Italia con un'età media di quasi sessant'anni".
Alla tavola rotonda hanno partecipato anche Liliana La Sala, direttrice ufficio Prevenzione delle dipendenze, doping e salute mentale del Ministero della Salute; Maria Luisa Scattoni, ricercatrice ISS e presidente del Network italiano per diagnosi precoce dell’autismo; Luigi Mazzone, direttore U.O.S.D Neuropsichiatria infantile Policlinico Tor Vergata; Emanuela Balestrieri, ricercatrice Università di Tor Vergata; Fiorella Guadagni, professoressa di Biochimica clinica e biologia molecolare Università San Raffaele Roma; Antonella Piciullo, responsabile medico età evolutiva Gruppo San Raffaele; Rocco Postiglione dell’associazione A.Ma.R.A.M. Aps.